Blevio 23 dicembre 2023: commemorazione di Enrico Caronti

Pubblichiamo il testo dell’intervento di Renato Tettamanti a nome dell’ANPI:

Enrico Caronti rappresenta una delle figure più limpide tra i numerosi martiri della resistenza anche del nostro territorio. Fu barbaramente ucciso nella notte del 23 dicembre 1944 a Menaggio dopo aver subito sevizie e torture da parte degli sgherri della brigata nera di Menaggio e di Como.
Lo ricordiamo qui a Blevio, suo paese natale, alla presenza di nipoti e parenti, così come stamattina è stato fatto a Menaggio. Lo ricordiamo qui, davanti al busto che il CLN di Blevio volle erigere lanciando una sottoscrizione popolare nel paese e nelle fabbriche di Como nel 1946, in perenne ricordo di Enrico Caronti, Romolo, medaglia di bronzo al valor militare.
Nel decreto del Presidente della Repubblica Giuseppe Saragat del 12 maggio 1966, leggiamo:
-medaglia di bronzo alla memoria del partigiano Enrico Caronti classe 1901 da Como;
-commissario di brigata partigiana, si distingueva per doti di coraggio e per qualità organizzativa;
-partecipava a varie azioni fornendo sempre brillante esempio ai suoi uomini;
-catturato e sottoposto a inumane sevizie, le sopportava stoicamente senza nulla rivelare che potesse nuocere alla formazione di appartenenza;
-condannato a morte, immolava la sua esistenza alla causa della libertà.
In queste parole ritroviamo i caratteri essenziali della figura di Enrico Caronti.
La sua vicenda umana si intreccia con le vicende del movimento operaio comasco tra le due guerre mondiali. Così come si intreccia con le vicende di Blevio a cui il Caronti era così legato anche per storia familiare.
Rileggendo in questi giorni le due edizioni degli opuscoli di Irene Fossati “Enrico Caronti la forza dell’idea” edite dall’Anpi e dall’Istituto di Storia contemporanea Perretta, con il contributo del comune di Blevio, questi elementi appiano evidenti.
Sul finire del 800 sorgono a Blevio la società di Mutuo Soccorso e la cooperativa di consumo: lo zio e il padre di Enrico, Innocente Caronti sono tra gli animatori. Lo stesso Enrico, anche quando assumerà incarichi a carattere provinciale, non mancherà di lavorare con i compagni di Blevio.
Aveva studiato al Collegio Gallio conseguendo nel 1916 il diploma di licenza Tecnica. I suoi scritti del periodo giovanile sono pieni di riferimenti ai dolori che la prima guerra mondiale provoca nelle masse popolari. La sua sensibilità politica si affina a contatto con il malcontento che cresce per i problemi di approvvigionamento alimentare, per la mancanza di lavoro e di abitazioni. Durante il Biennio Rosso Caronti, che nel frattempo lavora come muratore collaborando alla costruzione del sindacato edili, si impegna sempre più in attività frenetica di organizzazione politica nelle file della gioventù socialista. (Il nome di Romolo che si diede nel periodo resistenziale fu un omaggio a Romolo Clerici organizzatore del sindacato edili).
Nel 1920 viene nominato segretario provinciale dei giovani socialisti. Le cronache dell’epoca lo vedono impegnato in attività in tutta la provincia che allora comprendeva anche i territori di Varese e Lecco. In questa veste entra in contatto con i personaggi di spicco del movimento operaio comasco di allora: Angelo Noseda (primo sindaco socialista della città di Como), Riccardo Momigliano (deputato socialista della circoscrizione di Como), Carlo Pozzoni (intellettuale, fu tra i fondatori del PCdI), Saverio Roncoroni (sindacalista), Mario Elena (segretario della CdL).
La federazione giovanile socialista comasca alla scissione di Livorno aderì quasi per intero al nascente partito comunista d’Italia. Vi aderirono 25 sezioni su 35. Caronti al momento della scissione è militare a Bari. Mantiene come può i contatti coi vecchi compagni. Intanto la situazione politica muta drammaticamente con l’affermarsi delle violenze fasciste. Lo sbandamento tra le file del movimento operaio comasco, come di quello nazionale, si fanno sentire. Molti finiscono in carcere, altri prendono la via dell’esilio e dell’emigrazione.
Caronti terminato il servizio militare inizia a lavorare alla tessitura Bernasconi di Cernobbio e qui con discrezione svolge attività politica tessendo anche i rapporti con le altre realtà comuniste della zona. Da ricordare è il prezioso lavoro dei compagni di Blevio nell’accompagnare a Monte Piatto, sopra Torno, i militanti del Soccorso Rosso. Anche Caronti vi partecipa ed è probabilmente in queste occasioni che viene a contatto con Anita Pusterla, in seguito arrestata dopo un raduno del soccorso rosso proprio a Monte Piatto e che la porterà ad essere l’unica donna condannata nel famoso processone ai dirigenti del Partito Comunista.
Dopo il 1926 la dittatura fascista si esprime in tutta la sua violenza. Ciononostante, con le difficoltà del periodo Caronti mantiene i contatti con i compagni di Rebbio, Albate, Piazza San Stefano e le cellule della città. Il suo comportamento è irreprensibile per non dare atto a sospetti. Nel frattempo si è sposato con Cherubina Meroni da cui avrà due figli, Lionello (Nello) e Odette.
Nel 1938 durante una agitazione alla Bernasconi per mancanza di lavoro il Caronti, individuato dai fascisti locali come leader di fabbrica, viene invitato a entrare nel sindacato fascista. Rifiuta per evitare di perdere il contatto con i propri compagni di lavoro che di lui si fidano ciecamente. Ma la crisi della Bernasconi porta allo sfaldamento della fabbrica e al ricollocamento degli operai in altre aziende comasche. Caronti viene assunto alla Bruno Pessina dove continuerà il suo lavoro di organizzatore comunista e antifascista.
All’indomani del 25 luglio del 43 anche Como si svolgono manifestazioni. Caronti vi partecipa con i suoi compagni di lavoro. Nascono i primi CLN. Ma la strada per raggiungere la libertà sarà ancora lunga e piena di sofferenze.
Vennero gli scioperi del marzo 1944. Caronti che ormai era stato sempre più individuato come militante antifascista e comunista cercò di organizzare lo sciopero alla Bruno Pessina. Lo sciopero era previsto per il 9 marzo alle ore 10. Ma le cose non andarono come programmate. L’intervento del direttore di fabbrica, con l’aiuto della polizia, riuscì a intimidire gli operai minacciandoli di rappresaglia. Per il Caronti denunciato in qualità di organizzatore questo rappresentò l’inizio della sua vita da partigiano combattente.
Tra l’aprile e il giugno ’44, dopo un primo incarico sul Monte San Primo, si trasferì sui monti del centro e alto lago dove si stava formando la 52 brigata Garibaldi. Luigi Canali (il Neri) ne assunse il comando, affiancato da Enrico Caronti “Romolo” in qualità di commissario politico. La sua instancabile attività di organizzatore è testimoniata da numerosi rapporti scritti di suo pugno rivolti al comando di Divisione garibaldino e ai vari raggruppamenti della 52°.
Purtroppo, dopo i tragici esiti della cosiddetta battaglia di Lenno, in cui perirono tra gli altri Alfonso Lissi e il capitano Ricci. le cose per la 52° si mettono male. I fascisti operano continui rastrellamenti, tra le fila garibaldine si evidenziano smarrimento e disagio. Si accentuano le difficoltà nel reperire risorse e la stagione è particolarmente fredda. Caronti annota questa situazione nei vari dispacci, ma cerca anche di infondere coraggio e speranze ai suoi compagni. Particolarmente toccante è la nota inviata al comando della 52 brigata Luigi Clerici in occasione delle feste natalizie.
Scrive Caronti il 15 dicembre ‘44:” sesto Natale di guerra, Natale di sangue, di orrori, di miseria, di devastazione. Sarà l’ultimo…e aggiunge…Questo lo otterremo se rinsalderemo sempre più le nostre file a fianco a tutte le forze sane della Nazione; noi sapremo raggiungere le mete della democrazia”.
Una settimana dopo la situazione precipita: le brigate nere di Menaggio operano rastrellamenti nella zona di Dongo arrestando 45 persone tra cui Enrico Caronti. Lui sa che la sua sorte è segnata. La testimonianza resa dal tenente dei Carabinieri Mario Allemagna, anche lui arrestato nella notte del 22 dicembre, non lasciano dubbi sulla violenza subita dal Caronti. Scrive l’Allemagna: seppi che il Caronti durante l’interrogatorio ha mantenuto un atteggiamento sereno e sprezzante e che all’insistenza di confessare ha subito le seguenti torture: che non ripetiamo per pudore. (ingerimento di un bicchiere di olio bollente, applicazione della cera sui testicoli e relativa accensione, applicazione di olio bollente sullo stomaco con stiratura mediante due ferri roventi). Il Caronti poi venne portato davanti al cimitero di Menaggio e lì ucciso definitivamente.
Il processo celebrato in corte d’assise straordinaria tra l’11 e il 29 novembre 1946, sentenziò la condanna a morte dei due maggiori responsabili, degli atti di cruenta rappresaglia compiuta dalla Brigata Nera di Menaggio tra il 22 dicembre 1944 e il 25 aprile 1945: il comandante Emilio Castelli e il suo vice Pompeo Casati. Comminò ad altri cinque coimputati pene variabili fra i 20 e i 30 anni di carcere, che l’anno successivo la Corte d’Assise Speciale di Torino in parte ridusse e condonò. Nel 1950 la Corte d’Assise di Viterbo commutò le due condanne a morte in trent’anni di carcere, poco tempo dopo amnistiati.
Il lento ma inesorabile processo alla Resistenza era incominciato. Le parole pronunciate da Cherubina Meroni durante il processo “non voglio vendetta ma solo giustizia” sono andate perdute. Forse anche per questo scrive Irene Fossati, nella introduzione alla seconda edizione, il figlio Nello fortemente provato dalla perdita ha sempre preferito il silenzio. Silenzio derivato dal dolore patito e dalla delusione della giustizia degli uomini, che qualche anno dopo mandò liberi gli assassini del padre.
Nello preferiva ricordare in positivo, è ancora Irene che scrive, in una rara testimonianza così affermò: “la scelta di mio padre fu politica, un atto di coerenza ai suoi principi, non essendo soggetto ad obblighi militari. La sua fu quindi solo una scelta di libertà”.
Mi unisco alle parole di Nello: in questi giorni mi sono tornati in mente le riunioni che facevamo a casa sua perché faceva fatica a muoversi per i problemi alle gambe. La scelta di libertà di suo padre l’ha portata avanti nella sua vita, in un’esistenza spesa per l’affermazione dei valori della Resistenza e la crescita della società democratica. Così come ha fatto Odette, prematuramente scomparsa, che ho conosciuto proprio in occasioni di altri momenti di ricordo.
Ad Enrico Caronti come alle migliaia di uomini e donne che scelsero di partecipare in varie forme alla lotta di Resistenza, a quanti scelsero di combattere per la libertà e la democrazia esprimiamo la nostra viva e profonda gratitudine.
Da tempo purtroppo assistiamo al ripetersi di episodi che vorrebbero riportare alla ribalta fatti e teorie proprie del ventennio fascista: anzi abbiamo il governo più a destra della storia repubblicana impegnato tra l’altro a modificare la Costituzione in senso sempre più autoritario.
Ma noi, non dimentichiamolo, siamo eredi della lunga storia del movimento operaio e dell’emancipazione delle classi lavoratrici, che è continuata nel ventennio della dittatura fascista, proseguita nella Resistenza e nelle lotte per la democrazia e l’attuazione della Costituzione Repubblicana.
Dalla memoria attiva di quanti hanno pagato un contributo altissimo durante la Resistenza, dal loro ricordo dobbiamo attingere la determinazione necessaria per contrastare vecchi e nuovi fascismi, con la fiducia nella possibilità del cambiamento, attraverso l’unità e la partecipazione, nello spirito della Costituzione repubblicana.
Onore a Enrico Caronti.
Ora e sempre Resistenza.