Alla cortese attenzione del Sindaco di Dongo
Sig. Giovanni Muolo
Palazzo del Municipio -Dongo
Egregio Sig. Sindaco,
le scrivo a nome dell’ANPI, una della organizzazioni firmatarie dell’appello inviato alle autorità, laddove si chiedeva di proibire la manifestazione fascista che si sarebbe tenuta il 26 luglio u.s. In piazza Paracchini a Dongo.
Nella sua lunga lettera alla popolazione di Dongo lei si sofferma, dopo affermazioni condivisibili sulla tragedia che è stato il fascismo, su alcuni punti che riteniamo discutibili. Rifarsi ad alcune sentenze di assoluzione dal reato (perseguibile d’ufficio) di apologia del fascismo a giustificazione di una tolleranza vergognosa da parte sua e delle autorità preposte non depone a suo favore. Sappiamo che la magistratura è stata per anni tollerante, e che il confine fra la farsa, la buffonata e l’apologia è labile. Pensiamo però che sia fuori luogo citare la Costituzione per evidenziare solamente come questa consenta la libertà di parola e sottintendere (neanche tanto) come sia dei resistenti antifascisti la responsabilità di aver reso possibile la libertà di pensiero e di espressione… Quindi, secondo la sua logica, se oggi i fascisti possono celebrare i loro riti tribali le responsabilità vanno ricercate tra i costituenti?
Riteniamo viceversa che sia una forzatura inaccettabile proclamare che l’esplicita rivendicazione di fedeltà al fascismo e la sua apologia ricada nel campo della libertà di espressione. La Costituzione è chiarissima circa la ricostituzione del partito fascista e ne vieta la riorganizzazione sotto qualsiasi forma (non occorre essere dei giuristi per comprenderne il significato) all’art. XII delle disposizioni transitorie e finali. E più nel particolare, relativamente all’apologia, si può consultare la legge n. 645 del 1952, conosciuta come “legge Scelba”, e la legge n. 205 del 1993, la cosiddetta legge Mancino. E forse sarebbe bene ricordare che la democrazia oltre ai diritti impone anche doveri e restrizioni. Per sua maggior informazione sono ben tre le sentenze di questi mesi emesse dal tribunale di Milano che sconfessano la sua tesi, gliele riporto in calce a questa lettera.
Dato che a quanto sembra lei non è mai venuto a conoscenza, non bastasse la manifestazione di Dongo, di cosa hanno scritto i fascisti a Mezzegra, le riporto il testo integrale dei due manifesti apposti sul cancello di villa Belmonte: “Solo Dio può piegare la volontà fascista / le cose e gli uomini mai / viva l’Italia nostra” e “In questa Italia triste penosa e buia un raggio di luce ricordando il nostro duce”. Le bastano per definire “fascista” le due manifestazioni o le serve qualcosa d’altro?
Nell’intervista rilasciata al giornale “La Provincia” di Como lei cita a sproposito un nostro dirigente recentemente scomparso, Corrado Lamberti, quasi a dire: “Se ci fosse stato lui, che era discorsivo, comprensivo ecc. ecc., l’ANPI non avrebbe fatto tutto questo can-can”. Ebbene si sbaglia di grosso: Corrado, oltre ad essere stato uno dei nostri migliori dirigenti, fu il più fiero contraddittore suo e dell’ex sindaco Robba (si ricordi che lei era il vicesindaco allora). Fu quello che rintuzzò il vostro tentativo di spostare il XXV Aprile ad altra data a voi più gradita, fu l’organizzatore di tutti i convegni fatti a Dongo in questi anni per difendere la democrazia e pulire l’aria malsana che, nelle occasioni di cui sopra, si respirava e si respira tuttora. Fu fra i più accesi contestatori del vostro tentativo, purtroppo andato a buon fine, di sostituire il Museo della Resistenza Lariana di Dongo con l’attuale Museo della fine della guerra. Solo a voi risulta che a Dongo “finì la guerra”, dimenticando che lì “finì il fascismo”!
E a proposito di questo vi siete perfino permessi di manomettere il filmato originale del fotografo Cornelio Beretta, il cui uso vi è stato generosamente consentito dall’Istituto di Storia Contemporanea “Pier Amato Perretta” di Como, invertendo l’ordine degli avvenimenti. Nel filmato originale si mostrano i Partigiani che prendono il controllo della città di Como la mattina presto del 28 aprile 1945, ben prima dell’arrivo delle truppe alleate; mentre nel montaggio in visione presso il museo i fatti sono stati capovolti, a liberarci arriverebbero prima gli americani, e poi con comodo i Partigiani. Questa la vostra visione distorta della storia, altro che invocare la pacificazione.
Mi permetta due parole anche sulla pietà per i morti. Parificare i morti è un’operazione gravemente scorretta, non perché si voglia negare la pietà che si deve ai defunti in generale, ma perché nemmeno la morte azzera le responsabilità individuali e collettive: dietro l’equiparazione di due idee diametralmente opposte e inconciliabili – simbolo l’una del ventennio e l’altra della lotta per la democrazia – si nasconde l’idea miserabile di riconoscere una generica legittimità al fascismo. Mettere sullo stesso piano perseguitati e persecutori, vittime e carnefici, fascisti e antifascisti è una delle operazioni più indegne che si possano attuare verso la storia, cancellando la possibilità di comprendere quello che è successo e quello che da quegli avvenimenti è originato. È questa una tesi sostenuta da sempre anche da don Barindelli, ex parroco della chiesa di S. Abbondio in Mezzegra. Peccato che la memoria dei morti sia sempre a senso unico! Le risulta che lo stesso parroco sia mai stato altrettanto solerte nel benedire o ricordare i 22 partigiani arrestati mentre si recavano all’abbazia dell’Acquafredda il 23 dicembre 1944 per assistere alla messa di Natale organizzata in gran segreto con la complicità di un frate cappuccino? I tre ammazzati sul campo e i cinque fucilati dopo qualche giorno al poligono di tiro di CamerlatConcludo questa lunga lettera con un pensiero per lei.
Ci creda, siamo sinceramente dispiaciuti che lei per rispondere ad una richiesta della locale sezione dell’ANPI abbia dovuto esprimere tutto il malessere che lo ha attraversato, mettendo in risalto i suoi interrogativi inquietanti sul ruolo che svolge in un comune dove vive da 46 anni, ma a cui – a tratti – non sente di appartenere.
La nostra sezione aveva posto una questione molto semplice: chiedeva all’amministrazione del Comune di Dongo se non ritenesse di proibire l’utilizzo della piazza per una manifestazione chiaramente, già nelle intenzioni, apologetica del fascismo. Ora, oltre che dispiaciuti, siamo anche un po’ preoccupati, e non vorremmo che la domanda posta possa aver ulteriormente alterato il suo equilibrio. E lo diciamo perché anche negli anni futuri, se sarà necessario, l’ANPI tornerà a chiedere a lei e alle altre autorità di dissociarsi e di proibire queste manifestazioni.
Mi permetta di chiudere citando una frase del nuovo Presidente della sezione Lario Occidentale, intitolata a Michele Moretti, Celestino Villa: Sappia signor Sindaco che l’ANPI non taglia le rose, casomai le pianta.
Guglielmo Invernizzi Presidente Provinciale ANPI Como
Sono tre le sentenze, due di appello e una di primo grado, che nel giro di un paio di mesi hanno ribaltato la linea del Tribunale di Milano sulla rilevanza penale dei saluti romani. Gli ultimi tre pronunciamenti, le cui motivazioni sono state depositate nei mesi della chiusura per il coronavirus, si fondano sull’articolo 2 della legge Mancino e hanno riconosciuto in questo genere di manifestazioni comportamenti che diffondono “discriminazione e odio razziale”. Il primo caso riguarda un blitz avvenuto il 25 aprile 2016, quando circa 300 attivisti di Lealtà e Azione, avevano preso parte a una cerimonia al campo 10 del Cimitero Maggiore per la commemorazione dei repubblichini di Salò. Per la Corte, che ha accolto il ricorso del pm Piero Basilone, “la cerimonia ha evocato e diffuso simboli di un regime che ha fatto della superiorità e dell’odio razziale ed etnico uno dei propri capisaldi”. Quattro le condanne. Pene di un mese e dieci giorni più la multa. La seconda sentenza riguarda i fatti del 23 marzo 2017. Quel giorno una cinquantina di persone si erano ritrovate al Cimitero Monumentale per commemorare la nascita dei fasci di combattimento. Quella manifestazione ha assunto, con l’esposizione di simboli, emblemi e richiami alla repubblica di Salò, un significato globale di adesione ai valori di quel regime che ha collaborato intensamente con i nazisti alla cattura e alla deportazione di oppositori politici, di lavoratori, di ebrei. In questo caso dieci le condanne, sempre con la stessa pena a un mese e dieci giorni più la multa. Recente è poi il pronunciamento del Tribunale di primo grado, sezione sesta.. I fatti in questo caso risalgono al 22 aprile del 2018, giorno in cui una decina di neofascisti si erano riuniti per la commemorazione dei caduti della Rsi, sempre al campo 10 del Cimitero Maggiore. In questo caso il giudice ha condannato due dei tre imputati, gli unici che si vedevano chiaramente fare il saluto romano nelle immagini registrate dalla Digos. Per loro la condanna è stata a 10 giorni unitamente alla multa.