Enrico Caronti partigiano

Venerdì 20 dicembre a Menaggio presso l’aula magna della scuola secondaria con la presenza di oltre 60 persone si è tenuta la serata promossa dall’ANPI in memoria del partigiano Enrico Caronti, commissario politico della 52a Brigata Garibaldi, trucidato dai fascisti il 23 dicembre 1944.

Pubblichiamo di seguito l’intervento tenuto da Renato Tettamanti a nome dell’ANPI:

Enrico Caronti rappresenta una delle figure più limpide tra i numerosi martiri della Resistenza comasca.

L’iniziativa di ricordo di questa sera è in diretto collegamento, come tutti gli anni, con quanto verrà fatto domenica mattina a Blevio, davanti al monumento a lui dedicato. Monumento voluto dal CLN di Blevio che per la sua costruzione lanciò una sottoscrizione popolare nel 1946, non solo a Blevio ma in tutte le fabbriche di Como. 

Il 12 maggio 1966 l’allora Presidente della Repubblica Giuseppe Saragat, per il tramite dell’allora ministro della Difesa Roberto Tremelloni, concesse il riconoscimento della medaglia di bronzo al valor militare con le seguenti motivazioni: Partigiano Caronti Enrico fu Innocente, classe 1901, da Como. Commissario di brigata partigiana, si distingueva per doti di coraggio e qualità organizzativa. Partecipava a varie azioni, fornendo sempre brillante esempio ai suoi uomini. Catturato e sottoposto a immani sevizie, le sopportava stoicamente senza nulla rivelare che potesse nuocere alla formazione di appartenenza. Condannato a morte, immolava la sua esistenza alla causa della libertà. 

In queste parole ritroviamo i caratteri essenziali della figura di Enrico Caronti.

La sua vita si sviluppa tra Blevio, dove è nato e ha vissuto con la sua famiglia, la moglie Cherubina Meroni e i suoi figli Lionello (Nello) e Odette, e l’impegno politico nelle file delle organizzazioni del movimento operaio comasco. La gioventù socialista prima e dopo la scissione di Livorno l’adesione alPartito comunista; i lunghi anni dell’attività clandestina, fino alla scelta della Resistenza e al tragico epilogo della sua vita.

Rileggendo le due edizioni degli opuscoli di Irene Fossati “Enrico Caronti la forza dell’idea” edite dall’ANPI e dall’Istituto di Storia contemporanea P.A. Perretta, con il contributo del comune di Blevio, appare in tutta la sua forza la “scelta di libertà” compiuta da Caronti: il tenace perseguimento degli ideali di dignità e giustizia sociale, la solidarietà verso i compagni di lavoro, l’età non più giovane quando decise per la Resistenza armata, ecc., ma anche l’attaccamento alla sua famiglia e al paese di Blevio.

Sul finire dell’800 erano sorte a Blevio la società di Mutuo soccorso e la Cooperativa di consumo. Lo zio (Giobbe, cattolico) e il padre (Innocente, socialista) sono tra gli animatori. Sgnalo che a Blevio, la società di Mutuo soccorso e istruzione, ancora oggi operante, è intitolata a Enrico Caronti. Lo stesso Enrico anche quando assumerà incarichi a carattere provinciale, ad esempionella federazione giovanile socialista, non mancherà di lavorare con i compagni di Blevio.

Caronti, aveva completato gli studi al Collegio Gallio di Como conseguendo nel 1916 il diploma di Licenza tecnica. (Un inciso sul Collegio Gallio: lì vi studiarono anche Carlo Umberto Pozzoni dirigente socialista e comunista poi negli anni 20 e suo fratello Luigi, antifascista militante del Partito Repubblicano). I suoi scritti giovanili sono pieni di riferimenti ai dolori che la guerra provoca nelle masse popolari. Un sano antimilitarismo pervade i suoi scritti. Le partenze per il fronte di parenti, amici, conoscenti. Gli ospedali che si riempiono di feriti, la città di Como trasformata in presidio militare. Gli aumenti dei prezzi, la difficoltà crescente nell’approvvigionamento dei generi alimentari di prima necessità.

In questo contesto si affina la sua sensibilità politica a contatto con le prime agitazioni sindacali che iniziano subito dopo la fine della guerra, per il malcontento che cresce per la fame, la mancanza di lavoro e di abitazioni. Nel settembre 1919, gli iscritti alla Camera del Lavoro di Como raggiungono il massimo storico del periodo con oltre 17.000 aderenti. Caronti che nel frattempo lavorava come muratore si impegna nella costruzione del sindacato edili a cui anche la sezione socialista di Blevio collabora. Il sindacato edili era diretto allora da Romolo Clerici a cui Enrico era molto legato, il nome di battaglia Romolo, che assunse durante la Resistenza fu un omaggio all’amico. In seguito il sindacato edili fu diretto da Alfredo Torchio, anche egli come Caronti, militante della gioventù socialista e che poi, dopo Livorno confluì nel nascente Partito comunista. Torchio fu il delegato comasco al 1° congresso nazionale comunista e in seguito verrà condannato a diversi anni di carcere dal Tribunale speciale. 

Nel 1920 Caronti venne eletto a segretario provinciale dei giovani socialisti. Le cronache dell’epoca lo vedono impegnato in frenetiche attività in tutta la provincia che in quegli anni comprendeva anche i territori di Varese e Lecco. In questa veste entra in contatto con i personaggi di spicco del movimento operaio dell’epoca. Oltre ai già citati Pozzoni e Torchio, vale la pena ricordare Angelo Noseda, sindaco di Como e parlamentare socialista, Riccardo Momigliano, deputato, e i sindacalisti Saverio Roncoroni e Mario Elena.

Interviene nei comizi delle principali manifestazioni del periodo. In particolare è da ricordare l’imponente manifestazione del 1 maggio 1920 con oltre 10.000 partecipanti. Al comizio in piazza Duomo a Como, tra gli altri interviene lo stesso Caronti a nome della federazione giovanile socialista. 

Sono gli anni del cosiddetto Biennio rosso: nell’elezioni del 1920 i socialisti nel nostro territorio si imposero in 179 comuni tra cui quelli di Varese, Como, Cantù e all’Amministrazione provinciale, mentre i Popolari vinsero in 113 comuni.

Il 12 settembre 1920 durante una manifestazione in Piazza san Fedele a Como, che all’ultimo momento non fu autorizzata, i partecipanti vennero caricati e aggrediti dai Carabinieri. Carontivenne arrestato insieme ad altri. Immediata fu la risposta e l’indomani uno sciopero generale bloccherà la città. Lo sciopero sarà occasioni di violenti attacchi da parte della stampa locale: La Provincia e l’Ordine. Ci furono anche interrogazioni parlamentari da parte dell’onorevole Momigliano per le sevizie patite dagli arrestati. Lo stesso Caronti, dopo il rilascio, dovette trascorrere un periodo di riposo per riprendersi.

Irene Fossati riporta in una nota le dichiarazioni di Dante Bianchi (Satanello) militante comunista, che operava con i compagni della sponda Est del Lago, il quale ricordava come nel sotterraneo della questura di Como veniva praticata la “tortura dei sacchetti di sabbia” con cui venivano picchiati gli arrestati. La Fossati ricorda anche come i fatti del 12 settembre “gli incidenti di piazza San Fedele” segnano nella storia cittadina il trapasso alla fase ascendente del fascismo che da qui alla primavera accentuerà la propria offensiva, conquistandosi fra le categorie della media e piccola borghesia le basi del consenso.

Caronti alla fine dell’anno lascia gli incarichi politici perché chiamato a svolgere il servizio militare a Bari. Mantiene come può i contatti con i compagni. Nel frattempo con il congresso di Livorno (21 gennaio 1921) la federazione giovanile socialista comasca aderì quasi per intero al nascente partito Comunista d’Italia. Ma intanto la situazione politica muta drammaticamente con l’affermarsi delle violenze fasciste. Lo sbandamento tra le fila del movimento operaio comasco, come di quello nazionale, si fa sentire. Molti finiscono in carcere ad esempio Pozzoni, Torchio, Momigliano prima richiamati. Angelo Noseda ebbe in seguito la casa e lo studio devastato dai fascisti, suo figlio Lionello moriràper le percosse subite in quell’occasione. Altri presero la via dell’esilio: lo stesso Pozzoni, Roncoroni ecc.

Terminato il servizio militare dopo un periodo d’inattività, che come ricorda nelle lettere alla moglie, lo demoralizzano parecchio,Caronti inizia a lavorare alla tessitura Bernasconi di Cernobbio. Qui riacquista fiducia e con discrezione svolge attività politica tessendo rapporti con le realtà comuniste di Como e naturalmente con i compagni di Blevio. I quali svolgono anche un lavoro fondamentale nell’accompagnare i militanti del Soccorso Rosso,che tra il 1924 e il 1926, tengono diverse riunioni a Monte Piatto, località sopra Torno. Il Soccorso Rosso era un’organizzazione che si occupava di sostenere economicamente e moralmente gli arrestati dal Fascismo e le loro famiglie. Anche Caronti vi partecipa ed è probabilmente in queste occasioni che viene a contatto con Anita Pusterla, all’epoca dirigente comunista di Como, in seguita arrestata proprio dopo un incontro del Soccorso Rosso a Monte Piatto e che la porterà ad essere l’unica donna condannata nel famoso” processone” ai dirigenti comunisti con Gramsci e Terracini.  

Dopo il 1926 la dittatura fascista con le cosiddette “Leggi fascistissime” si esprime in tutta la sua violenza. Ciononostante, con le difficoltà del periodo Caronti mantiene i contatti con i compagni di Rebbio, Albate, Piazza San Stefano e le cellule della città. Il suo comportamento è irreprensibile per non dare atto a sospetti. 

In quegli anni subisce solo alcuni fermi amministrativi in occasione delle date considerate a rischio dal regime il 28 ottobre e il primo maggio. Nel frattempo si è sposato con Cherubina Meroni da cui avrà due figli, Lionello (Nello) e Odette. 

Nel 1938 durante una agitazione alla Bernasconi per mancanza di lavoro il Caronti, individuato dai fascisti locali come leader di fabbrica, viene invitato a entrare nel sindacato fascista. Rifiuta per evitare di perdere il contatto con i propri compagni di lavoro che di lui si fidano ciecamente. Ma la crisi della Bernasconi porta allo sfaldamento della fabbrica e al ricollocamento degli operai in altre aziende comasche. Caronti viene assunto alla Bruno Pessina dove continuerà il suo lavoro di organizzatore comunista e antifascista.

L’Italia intanto è entrata in guerra; caduta l’illusione di una facile vittoria, cominciano a manifestarsi i primi segni del disastro che si produrrà negli anni seguenti. Dai vari fronti trapelano le prime verità sull’impreparazione dell’esercito, aumentano i prezzi dei generi alimentari, scarseggia il combustibile, e i generi alimentari, si introduce il tesseramento dei generi di prima necessità. Si manifesta il problema degli alloggi mentre dalla vicina Milano cominciano ad arrivare gli sfollati. In questo clima si rinforzano i legami delle forze antifasciste.

Così all’indomani del 25 luglio del 43 anche Como si svolgono manifestazioni. Nascono i primi CLN. Ma la strada per raggiungere la libertà sarà ancora lunga e piena di sofferenze. Il 9 settembre si svolse in Piazza Duomo una grande manifestazione in cui intervenne Pier Amato Perretta, (lo abbiamo ricordato lo scorso 15 novembre a Como nella Piazza a lui dedicata nel giorno del suo martirio) animatore della Lega insurrezionale Italia Libera. Caronti vi partecipa con i suoi compagni di lavoro. Al termine uncorteo si diresse verso la sede della Prefettura e del Distretto militare per chiedere la distribuzione delle armi ai civili ottenendo però un netto rifiuto dal comandante del presidio. Il 12 settembre i tedeschi arrivano a Como e chiusero la frontiera con la Svizzera. È l’inizio dell’occupazione.

Vennero poi gli scioperi del marzo 1944. Caronti che ormai era stato sempre più individuato come militante antifascista e comunista, cercò di organizzare lo sciopero alla Bruno Pessina. Lo sciopero era previsto per il 9 marzo alle ore 10. Ma le cose non andarono come programmate. L’intervento del direttore di fabbrica, con l’aiuto della polizia, riuscì a intimidire gli operai minacciandoli di rappresaglia. Per il Caronti, denunciato in qualità di organizzatore, questo fatto rappresentò l’inizio della sua vita da partigiano combattente.

Tra l’aprile e il giugno ’44, dopo un primo incarico sul Monte San Primo, si trasferì sui monti del centro e alto lago dove si stava formando la 52° brigata Garibaldi, grazie all’afflusso di numerosi volontari e renitenti alla leva e grazie all’impulso organizzativo fornito dal partito comunista. Luigi Canali (il Neri) ne assunse il comando, affiancato da Enrico Caronti “Romolo” in qualità di commissario politico. La sua instancabile attività di organizzatore è testimoniata da numerosi rapporti scritti di suo pugno rivolti al comando di Divisione garibaldino e ai vari raggruppamenti della 52°. Fu l’elemento fondamentale di raccordo tra le varie istanze della resistenza nell’alto lago.

Purtroppo, dopo i tragici esiti della cosiddetta battaglia di Lenno, in cui perirono tra gli altri Alfonso Lissi e il capitano Ricci, le cose per la 52° si misero male. I fascisti operavano continui rastrellamenti, tra le fila garibaldine si evidenziavano smarrimento e disagio. Si accentuavano le difficoltà nel reperire risorse e la stagione era particolarmente fredda. Di fronte a questa situazione Caronti nei vari dispacci, cercava anche di infondere coraggio e speranze ai suoi compagni. Particolarmente toccante è la nota inviata al comando della 52° brigata Luigi Clerici in occasione delle feste natalizie.

Scrive Caronti il 15 dicembre ‘44:” sesto Natale di guerra, Natale di sangue, di orrori, di miseria, di devastazione. Sarà l’ultimo…e aggiunge…Questo lo otterremo se rinsalderemo sempre più le nostre file a fianco a tutte le forze sane della Nazione; noi sapremo raggiungere le mete della democrazia”.

Una settimana dopo la situazione precipitava: le brigate nere di Menaggio operarono rastrellamenti nella zona di Dongo arrestando 45 persone. Gli interrogatori brutali a cui vengono sottoposti rivelano il dislocamento del Comando della 52°Brigata Garibaldi. Con un’azione improvvisa, i fascisti riescono a sorprendere il commissario politico Enrico Caronti, “Romolo”, il comandante, Giovanni Amelotti, “Sardo” e Dina Chiappo detta“Lina”. I tre vengono trascinati nella sede delle Brigate Nere e qui Caronti viene lungamente torturato, infine fucilato due giorni dopo al cimitero di Menaggio. Di quanto avvenne quella sera abbiamo la testimonianza resa dal tenente dei Carabinieri Mario Allemagna, anche lui arrestato nella notte del 22 dicembre. Non ci sono dubbi sulla violenza subita dal Caronti. Scrive l’Allemagna: seppi che il Caronti durante l’interrogatorio ha mantenuto un atteggiamento sereno e sprezzante e che all’insistenza di confessare ha subito le seguenti torture: ingerimento di un bicchiere di olio bollente, applicazione della cera sui testicoli e relativa accensione, applicazione di olio bollente sullo stomaco con stiratura mediante due ferri roventi. 

Inoltre un altro racconto delle sevizie a cui viene sottoposto, affiorò anche dalla sentenza della Corte d’assise Sezione speciale di Como a carico della 6° compagnia di Menaggio dell’XI Brigata Nera “Cesare Rodini”:  “Rinchiuso nella sede dei brigatisti neri, e nei sotterranei di Villa Sofia, requisita dal 1943 per motivi bellici, fu orrendamente torturato per ore: ricevette percosse di ogni tipo tanto che gli si fracassò la mandibola, venne lasciato nudo e bagnato all’aria di fine dicembre, subì gravissime ustioni ai genitali, venne obbligato a bere olio bollente, venne fatto sedere sopra una stufa rovente ed infine venne cosparso d’aceto”. Era sfigurato e in stato di semi incoscienza quando, la notte del 23 dicembre, i suoi aguzzini lo portarono davanti al cimitero di Menaggio e lo fucilarono con una scarica di mitra a distanza ravvicinata, finendolo con un colpo di grazia alla testa ed infine abbandonandolo sulla strada. Prima di morire disse ai suoi carnefici: non so se sarete in grado di morire come muoio io”. La famiglia venne a conoscenza della morte di Enrico solo il 26 dicembre.

Il processo citato fu celebrato in corte d’assise straordinaria tra l’11 e il 29 novembre 1946, sentenziando la condanna a morte dei due maggiori responsabili, degli atti di cruenta rappresaglia compiuta dalla Brigata Nera di Menaggio tra il 22 dicembre 1944 e il 25 aprile 1945: il comandante Emilio Castelli e il suo vice Pompeo Casati. Comminò ad altri cinque coimputati pene variabili fra i 20 e i 30 anni di carcere, che l’anno successivo la Corte d’Assise Speciale di Torino in parte ridusse e condonò. Nel 1950 la Corte d’Assise di Viterbo commutò le due condanne a morte in trent’anni di carcere, poco tempo dopo amnistiati.

Il lento ma inesorabile processo alla Resistenza era incominciato. Le parole pronunciate da Cherubina Meroni durante il processo “non voglio vendetta ma solo giustizia” sono andate perdute. Forse anche per questo scrive Irene Fossati, nella introduzione alla seconda edizione, il figlio Nello fortemente provato dalla perdita del padre ha sempre preferito il silenzio. Silenzio derivato dal dolore patito e dalla delusione della giustizia degli uomini, che qualche anno dopo mandò liberi gli assassini del padre.

Nello preferiva ricordare in positivo, è ancora Irene che scrive, in una rara testimonianza così affermò: “la scelta di mio padre fu politica, un atto di coerenza ai suoi principi, non essendo soggetto ad obblighi militari. La sua fu quindi solo una scelta di libertà”.Mi unisco alle sue parole.

Ho conosciuto Nello tanti anni fa, all’epoca dello scioglimento del PCI e alla nascita di Rifondazione. Di lui ricordo gli incoraggiamenti che mi faceva per il mio ruolo di segretario provinciale, così come ricordo le riunioni con i compagni dell’Est lago che facevamo a casa sua, quando faticava a muoversi per i problemi alle gambe. La scelta di libertà di suo padre l’ha portata avanti nella sua vita, in un’esistenza spesa per l’affermazione dei valori della Resistenza e la crescita della società democratica. Così come ha fatto Odette, prematuramente scomparsa, che ho conosciuto a Blevio in occasioni di altri momenti di ricordo.

Così come continuano a fare le figlie di Nello e Odette: Daria, Leila e Raffaella partecipando ogni anno alle ceremonie di ricordo a Menaggio e a Blevio.

So che Raffaella prosegue con grande convinzione ed entusiasmo l’impegno politico-sociale che fu della mamma; così come fa Daria, oggi nel direttivo della sezione ANPI dell’ Est Lago,recentemente ricostituita, dopo la scomparsa di Antonio Proietto.

Infine, vorrei ricordare le parole scritte da Wilma Conti, in appendice della ristampa del libro di Irene Fossati, che di Enrico Caronti fu giovanissima “segretaria” in quel di Dongo: gli dattilografava i dispacci. Lo descrive piena di ammirazione per la sua instancabile attività di collegamento con i vari distaccamenti della 52° e per il suo modo di esprimersi. Ma, lo ricorda anche come uomo attaccato alla sua famiglia. Scrive Wilma: “Una frase di lui mi è rimasta impressa: mi spiacerebbe morire per non rivedere i miei figli e non poter più abbracciare la mia bambina”. 

Ad Enrico Caronti come alle migliaia di uomini e donne che scelsero di partecipare in varie forme alla lotta di Resistenza, a quanti scelsero di combattere per la libertà e la democrazia non possiamo che esprimere la nostra viva e profonda gratitudine.

Da tempo purtroppo assistiamo al ripetersi di episodi che vorrebbero riportare alla ribalta fatti e teorie proprie del ventennio fascista: anzi abbiamo il governo più a destra della storia repubblicana impegnato tra l’altro a modificare la Costituzione in senso sempre più autoritario.

Ma noi, non dimentichiamolo, siamo eredi della lunga storia del movimento operaio e dell’emancipazione delle classi lavoratrici, che è continuata nel ventennio della dittatura fascista, proseguita nella Resistenza e nelle lotte per la democrazia e l’attuazione della Costituzione Repubblicana.

Dalla memoria attiva di quanti hanno pagato un contributo altissimo durante la Resistenza, dal loro ricordo dobbiamo attingere la determinazione necessaria per contrastare vecchi e nuovi fascismi, con la fiducia nella possibilità del cambiamento, attraverso l’unità e la partecipazione, nello spirito della Costituzione repubblicana.

Onore a Enrico Caronti.

Ora e sempre Resistenza.